Autonomia ieri e oggi

Il dibattito sulla c. d. “Autonomia Differenziata” porta a cercare le radici di una discussione sulla unitarietà e indivisibilità dello Stato (della Repubblica, art. 5 Costituzione) e il riconoscere e promuovere le autonomie locali. Debacle simile si ebbe anche negli anni 70 con la nascita delle Regioni poi appianata e ormai consolidata come adeguata articolazione dello Stato più vicino ai cittadini proprio per meglio rispondere ai loro bisogni. Il dibattito oggi necessariamente deve avere come presupposto un breve riesame degli ultimi anni.

La Lega da quarant’anni fa battaglie politiche rivolte all’autonomia piena delle Regioni addirittura prevedendo la secessione declamata a gran voce da Bossi.

Si è poi passati alla «devolution» e infine ora all’autonomia «differenziata», che non è necessariamente uguale per tutti e ogni Regione può modellarla a suo gradimento (le materie per cui si chiede la delega possono essere in un numero variabile da zero a 23).

La legge Calderoli è un successo per la Lega, iter già intrapreso dal 1984 con la “battaglia” autonomista.

Ma c’è da ricordare che il centrosinistra non è rimasto a guardare nel corso dei decenni.  Infatti la riforma approvata trova le sue radici nella riforma del titolo V della Costituzione voluta dal centrosinistra nel 2001 con il chiaro intento di evitare la secessione o autonomia spinta e metter in difficoltà l’altro fronte. Una scelta che oggi si è rivelata controproducente.

La Lega nel 2001 con il Berlusconi II smussa i toni. Bossi diventa Ministro per le Riforme istituzionali e la «devolution». La «devolution» insieme al federalismo fiscale, sostenuto da Roberto Calderoli, sembrano soddisfare le attese e mettere in soffitta la secessione.

Prima della nascita del Berlusconi II, nella legislatura precedente, il centrosinistra, con il governo guidato da Giuliano Amato e con il ministro Franco Bassanini, approva appunto la riforma del titolo V della Costituzione, una modifica che contiene un riconoscimento importante: «Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato». Ed è così che nasce, secondo il centrodestra, l’esigenza di individuare una forma di regolamentazione dell’autonomia.

La legge Calderoli deriva da questa Autonomia e rivoluzione della P. A. e della scuola in particolare.

Poi il tema Autonomia rimane congelato per anni. Nel febbraio del 2018 alcuni governatori del Nord, Zaia (Veneto), Roberto Maroni (Lombardia) e Stefano Bonaccini (Emilia-Romagna) firmano delle pre-intese con il governo Gentiloni. Poi un nuovo stop: la riforma sparisce e rimane in pausa durante il governo Conte I e II ma anche con il governo Draghi.

L’autonomia differenziata riprende slancio solo con la nascita del governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni che affida la delega specifica a Calderoli. Nel febbraio del 2023 il ddl viene approvato dal Consiglio dei ministri. Nel gennaio del 2024 ottiene il via libera del Senato e il 19 giugno è stato approvato in via definitiva dalla Camera.

Si tratta ora di vedere come si potrà sviluppare, come le Regioni potranno utilizzare le deleghe nei limiti costituzionali, come la Corte Costituzionale dovrà affrontare, in caso di eccessi o sviamento, problematiche costituzionali tenendo conto che la Magna Carta assume non solo il riconoscimento ma anche la promozione e lo sviluppo delle Autonomie adeguandone i principi e i metodi della legislazione.

In conclusione, sarà l’effettiva applicazione il vero banco di prova della bontà o meno della Legge di riforma appena approvata.

Giuseppe D’Ambrosio Segretario Nazionale FILPI