Il DDL Lavoro, reintroduce, nel nostro ordinamento le dimissioni per fatti concludenti. L’art.19 del DDL integra l’art. 26 del D.lgs. n. 151/2015. Il Legislatore dispone che, in caso di assenza ingiustificata protratta oltre i termini previsti dal CCNL o, in mancanza di previsione contrattuale, per un periodo superiore a 15 giorni, il datore di lavoro dà comunicazione all’Ispettorato del Lavoro che ha facoltà di effettuare accertamenti, ed il rapporto si intenderà risolto per volontà del lavoratore e senza applicazione della procedura telematica. Salvo la possibilità per il lavoratore di dimostrare l’impossibilità di comunicare il motivo dell’assenza, per causa di forza maggiore o per fatti imputabile al datore di lavoro. L’onere della prova grava sul dipendente.
Tutto lineare? La norma presenta alcune criticità. La prima riguarda il tempo necessario per considerare il lavoratore come dimissionario. Esso non è uguale per tutti i settori di attività in quanto i contratti collettivi non sono tutti uguali e per le assenze ingiustificate, foriere di licenziamento, prevedono un numero di giorni diversi (ad esempio, il CCNL metalmeccanici del settore industria parla di oltre 4 giorni). Se, per ipotesi, la contrattazione collettiva non dovesse dire nulla (opinione poco realistica) occorrerebbe attendere il trascorrere di un periodo superiore a 15 giorni da configurarsi come assenza ingiustificata.
La seconda questione riguarda il ruolo dell’Ispettorato del Lavoro.
La comunicazione dovrebbe portare alla verifica della situazione legata alle dimissioni. Essa appare, nella sostanza, una formalità priva di riscontri effettivi a meno che verranno date poi le indicazioni operative. Il controllo da parte dell’Ispettorato sembrerebbe porsi nei termini di una possibilità e non di un vero e proprio obbligo procedurale. Alla luce di ciò, cosa dovrebbe fare, se ritenesse di intervenire, l’organo di vigilanza?
Dovrebbe vigilare sul lavoratore, convocarlo per accertarsi che le dimissioni, non effettuate con la usuale procedura telematica, corrispondano al vero, cioè che egli stesso non abbia giustificato l’assenza dal posto di lavoro per causa imputabile solo a lui? E, nel caso in cui accertasse, soprattutto nelle piccolissime realtà che è rimasto a casa perché il datore di lavoro, a voce, gli ha detto di non presentarsi più in azienda, quale sarebbe l’iter? Dovrebbe consigliare al lavoratore di impugnare la risoluzione del rapporto come licenziamento orale, portando in giudizio le prove della responsabilità del datore? Dovrebbe consigliare al lavoratore di effettuare un tentativo di conciliazione sul licenziamento orale? Sarà l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’organo deputato a fornire le indicazioni operative alle proprie articolazioni periferiche territoriali?
In buona sostanza, con le dimissioni per fatti concludenti, il datore di lavoro non pagherà più il contributo ticket NASpI licenziamento (Legge Fornero); il datore di lavoro potrà trattenere, all’atto della erogazione delle competenze di fine rapporto, l’indennità di mancato preavviso se, appunto, non è stato lavorato; il lavoratore, essendo dimissionario e non licenziato, non potrà fruire della NASpI che spetta soltanto nella ipotesi in cui il lavoratore abbia perso il posto involontariamente, attraverso il recesso del datore di lavoro o nelle ipotesi di dimissioni equiparate dal legislatore al licenziamento. Ovviamente la disposizione precisa che il rapporto di lavoro non si intenderò risolto se il lavoratore dimostrerà di essere stato impossibilitato a comunicare il motivo della sua assenza per causa di forza maggiore o per fatti imputabili al datore di lavoro.
Durante A.M. Cristina