“Dovete insegnare alla gente e soprattutto alle nuove generazioni a lavorare con le proprie mani e a far comprendere il grande significato della dignità del lavoro” (Mahatma Gandhi). Parole molto attuali che le vecchie leve dovrebbero, sottolineando il condizionale, “trasmettere “ai giovani.
I giovani sono un tema ricorrente soprattutto se si parla di lavoro. L’impatto della pandemia sul mercato lavorativo-economico non ha fatto altro che inasprire la situazione in Italia, dimezzando le già scarse opportunità lavorative.
Dal rapporto sul mercato del lavoro elaborato dal CNEL, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, risulta che la fascia più colpita va dai 18 ai 29 anni .
Eppure, con un picco del tasso di disoccupazione giovanile al 22%, si sente ancora dire che “i giovani non vogliono lavorare”. A sostenerlo è un classico cliché, un triste ritornello da ascoltare e subire.
Non esiste prova schiacciante che evidenzi una differenza generazionale. La vera differenza la stiamo vivendo oggi, nel cambiamento radicale all’approccio lavorativo.
Tra tutti i colpi bassi che questa pandemia sta infliggendo, nell’emergenza ,il barlume di speranza lo stanno dando proprio i “giovani fannulloni” con grande dignità.
È servito un disastro globale per dare finalmente la possibilità alle nuove leve di mettersi in gioco, le quali non si sono certamente tirate indietro. Tutta quella rabbia, per essere stati tenuti a lungo in disparte, è stata tramutata in passione a supporto soprattutto del comparto sanitario.
Con la speranza che questa fiducia non sia stata soltanto un fuoco di paglia ma l’inizio di una nuova era, in un paese che non è perfetto ma che non dobbiamo abbandonare, perché ci ha dato tanto e adesso richiede aiuto, dobbiamo stringere i denti, combattere, fallire e riprovarci senza mai perdere l’entusiasmo.
ANGELO MINOIA