IL SEGRETARIO GENERALE DELLA CONF.I.L. A TOKYO

Nell’incantevole scenario di Tokyo, il Segretario Generale della Confederazione Italiana Lavoratori (Conf.I.L.), il dott. Luigi Minoia, ha recentemente incontrato l’Ambasciatore Italiano a Tokyo, il distinto dott. Benedetti, nel contesto del programma “Business or Pleasure? Puglia”. Questo incontro mira a sottolineare l’importanza del sindacato dei lavoratori dipendenti nel sostenere le imprese pugliesi nel loro percorso di espansione internazionale, aprendo al contempo un dialogo con le logiche lavorative locali giapponesi per trarre vantaggio da significative comparazioni.

Il programma “Business or Pleasure? Puglia” è un’iniziativa volta a promuovere lo sviluppo economico della regione pugliese, favorendo partnership internazionali e agevolando l’export delle imprese locali. Il Segretario Generale Minoia, rappresentante del sindacato, ha sottolineato l’importanza cruciale della collaborazione tra lavoratori, imprese e istituzioni per favorire la creazione di nuovi posti di lavoro in Italia. Ringrazia il presidente Antonio Barile della Camera di Commercio Italo Orientale e il governo della Regione Puglia, nelle persone del Presidente Michele Emiliano, il vice presidente Raffaele Piemontese e dell’assessore Alessandro Delli Noci, per aver avuto la possibilità di far parte della delegazione.

Durante l’incontro, Minoia ha evidenziato il ruolo fondamentale del sindacato nella costruzione di un ponte tra le esigenze delle imprese e i diritti dei lavoratori. “Il sindacato non è solo una voce per i diritti dei lavoratori, ma anche un partner strategico per le imprese che desiderano espandersi globalmente. Accompagniamo le imprese pugliesi nel loro percorso di internazionalizzazione, assicurandoci che questo si traduca in benefici concreti per i lavoratori italiani”, ha dichiarato Minoia.

L’Ambasciatore Benedetti ha elogiato l’iniziativa e ha sottolineato l’importanza di costruire ponti culturali ed economici tra l’Italia e il Giappone. Ha evidenziato la necessità di comprendere le logiche locali lavorative per facilitare una transizione più fluida per le imprese pugliesi nel mercato giapponese. “È cruciale non solo esportare prodotti, ma anche conoscere e rispettare le dinamiche locali per instaurare rapporti di lunga durata e di successo”, ha dichiarato Benedetti.

La discussione ha toccato vari punti, inclusi gli aspetti normativi, le differenze culturali e le opportunità di collaborazione bilaterale. L’incontro si è concluso con un impegno congiunto per promuovere ulteriormente le relazioni commerciali tra la Puglia e il Giappone, con l’obiettivo di creare un ambiente favorevole per la crescita economica e l’occupazione in entrambi i paesi.

Durante A.M. Cristina




LA CONFIL IN AUDIZIONE PARLAMENTARE, RIFLESSIONI …

Giovedi 8 giugno 2023, la Confederazione Italiana Lavoratori ha concluso il ciclo di audizioni parlamentari nell’ambito della proposta di legge n.835 di iniziativa dell’On. Sasso, recante modifiche agli artt.336 e 341 bis del codice penale per la tutela e la sicurezza del personale scolastico. Presenti il Segretario Generale della Confil, il dott.  Luigi Minoia ed il componente del Direttivo Nazionale, Salvatore Buonamassa. Cariche di pathos le parole iniziali di Minoia: “Non riesco neppure per un attimo ad immaginare un docente offeso, ancor più umiliato nello svolgimento delle sue funzioni. Ho un ricordo troppo elevato di quel luogo, la scuola, considerato quasi sacro dai miei genitori”. Chiaramente condivisibile la proposta di legge sovra-citata, non in virtù, continua durante l’audizione parlamentare Minoia, dell’inasprimento delle pene bensì in vista del miglioramento della tutela della comunità scolastica a 360 gradi, una salvaguardia che parta dalla formazione, dalla prevenzione, dalla tutela infortunistica, dalla gestione delle situazioni di conflitto, per finire verso un miglioramento qualitativo di comunicazione con famiglie e studenti. Minoia, infatti, chiama “in causa” la famiglia, il nucleo primordiale, in quanto i genitori hanno il dovere di educare la persona, mentre la scuola deve formare gli studenti, i cittadini, la classe dirigente del domani. Condivisibile la proposta di istituire un Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza del personale scolastico. Valorizzare socialmente gli insegnanti significa rimettere il docente al centro della società, innanzitutto dal punto di vista culturale ed etico. E, naturalmente, anche economico. A ciò si unisce anche l’investimento finanziario per la formazione e l’orientamento degli insegnanti. Mettere risorse, investire disponibilità economica, significa migliorare e valorizzare la carriera professionale dell’insegnante, soprattutto in virtù del fatto che gli insegnanti della scuola italiana hanno delle retribuzioni tra le più basse in Europa. Uno dei cavalli di battaglia della Confil da tempo!  Buonamassa ha dettagliato, dopo Minoia, la parte più tecnica della proposta di legge.  In ultimo, ma non per ordine di importanza, va ricordato che su iniziativa della Confil, a proposito di tutela infortunistica, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro è stata ampliata anche agli infortuni in itinere per i docenti.   “La disposizione (di legge) è la migliore condizione per lanciare una stagione di educazione al rischio  sulle quali l’Inail vuole investire e l’istituto ha persino in corso progetti ed interventi con scuole ed università”, queste le parole del direttore generale INAIL Tardiola. Soddisfatto il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Valditara, che parla di una grande novità che va nella direzione dell’impegno, della sicurezza, della serenità dei lavoratori della scuola, delle famiglie e degli studenti, in stretta collaborazione con la Ministra del Lavoro, Calderone. Nel DL Lavoro, vi è stata, infatti, l’introduzione di un Fondo per l’indennizzo dei famigliari degli studenti vittime di infortuni in occasione delle attività formative e durante i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto). La Confil continuerà ad avere progettualità a favore dei lavoratori e della comunità scolastica con una serie di iniziative e proposte.  

DURANTE ANNA MARIA CRISTINA 




Strepitoso successo della Confil Filpi alle RSU dell’ufficio scolastico regionale Puglia

È motivo di grande soddisfazione, la conferma dell’alta percentuale di votanti, dalla quale traspare, ancora una volta, la volontà, ma anche la maturità, dei lavoratori della Direzione USR Puglia di migliorare le condizioni di lavoro e della loro professionalità, affidandosi al rappresentante della lista CONFIL FILPI: Fortunato Bazzi, sempre disponibile e competente. Il compito di rappresentante sindacale gli è stato assegnato con il plebiscito ricevuto di 35 voti di lista e 33 personali, su 50 votanti, equivalenti a 4 seggi su 5.

 

PINO D’AMBROSIO, segretario nazionale CONFIL FILPI, ha dichiarato: “non posso che essere più che soddisfatto per il grande successo ottenuto. Ringrazio vivamente tutto il personale che ha dato fiducia alla nostra giovane organizzazione sindacale, attraverso il voto per l’elezione delle nuove Rsu. Con profonda stima, grazie mille al candidato che si è schierato con CONFIL FILPI. Grazie a tutti i lavoratori che ci hanno votato. Come organizzazione sindacale, continueremo a perseguire l’impegno di essere ancora più incisivi nell’azione di tutela dei lavoratori”.

 

Avanti così CONFIL FILPI

 

Durante A. M. Cristina




Pensioni: il Servizio Militare può essere trasferito nella gestione più favorevole?

Il pensionato che durante il corso della propria storia lavorativa è stato iscritto sia nell’ AGO FPLD sia nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) e che ha svolto il servizio militare, può decidere di trasferirlo nella gestione più favorevole.

I pensionati che nel corso della loro storia lavorativa hanno svolto il servizio di leva con successivo accredito figurativo, ed hanno avuto l’iscrizione in due gestioni previdenziali INPS diverse (dipendenti ed autonomi) possono scegliere di trasferire il periodo di leva nella gestione previdenziale a loro più favorevole. Per poterlo fare però è necessario presentare domanda telematica all’INPS di ricostituzione della pensione, specificando di voler trasferire il s.m. nella gestione più favorevole. La ricostituzione non è altro quindi che uno strumento in grado di variare l’importo di pensione per il riconoscimento di contribuzione (figurativa, obbligatoria, volontaria, da riscatto) versata, maturata, accreditata, etc.

Facciamo un esempio: Filippo, classe 1952, precisamente maggio1952, inizia la sua carriera lavorativa nel 1970. Ha 18 anni. È un dipendente. Successivamente nel 1972, lascia il suo posto di lavoro per partire militare. Al ritorno dalla leva (12 mesi di s.m.), decide di gestire il ristorante di famiglia e mettersi in proprio come titolare attività commerciale. Nell’estratto contributivo di Filippo risulteranno due iscrizioni previdenziali una nell’AGO FPLD e l’altra nella gestione autonoma dei commercianti, e il s.m. è considerato ai fini pensionistici come contribuzione figurativa utile sia per il calcolo che per il diritto a pensione. A dicembre 2018 compie i 66 e sette mesi per accedere alla pensione di vecchiaia e a gennaio 2019, previa domanda, ottiene la VOCOM nella quale sono stati “conteggiati” anche i contributi versati come dipendente ed il periodo di leva.

Nel calcolo dell’importo mensile della pensione, l’INPS considera il servizio militare o, meglio, i contributi del s.m.  nella gestione dipendenti, considerando il servizio militare come “dipendenza” dallo Stato, anziché nella gestione autonoma (nel nostro caso, commerciante). A meno che, in fase di domanda per il pensionamento, si richiede esplicitamente che il servizio militare venga accreditato nella gestione autonoma.

 Filippo, nel 2020, provvede a fare domanda per una ricostituzione contributiva della pensione indicando di voler trasferire il servizio militare alla gestione autonoma nella quale sono presenti retribuzioni (rms) più elevate in grado di valorizzare in maniera superiore il periodo di servizio militare svolto. Nella fattispecie, il periodo interessato viene trasferito dalla gestione dipendenti alla gestione autonoma dei commercianti e ciò comporta, per effetto della ricostituzione, una variazione dei dati di calcolo e conseguentemente, nel nostro caso, un aumento della pensione con arretrati nella prescrizione quinquennale.

Durante A. M. Cristina




Il contratto a tempo determinato, analisi e strategie di tutela

Il contratto a tempo determinato è spesso presentato come un’opportunità di ingresso nel mondo del lavoro, una porta di accesso. Rappresenta davvero un’opportunità da entrambe le parti se il datore di lavoro lo utilizza in buona fede, con una reale prospettiva di stabilizzazione, ed il lavoratore capisce che quel lavoro fa per lui. È come se fosse una “prova” per entrambi. A differenza del contratto a tempo indeterminato, il contratto a termine ha una caratteristica distintiva: ha una data di inizio e una data di fine prestabilite. Questo significa che il lavoratore, sin dal primo giorno, sa esattamente quando il rapporto di lavoro terminerà. Tuttavia, quello che spesso non viene detto è che questa tipologia contrattuale può essere usata in modo non sempre lineare dai datori di lavoro, per evitare obblighi e stabilità occupazionali. Rispondiamo in maniera semplice ad alcune domande al fine di “avviare” il lavoratore verso la conoscenza dei propri diritti, in modalità tutela. Può il datore di lavoro interrompere il contratto a termine prima della scadenza? No, salvo in un caso specifico: la giusta causa.

Se il datore di lavoro decide di interrompere il rapporto, prima della scadenza, senza una giusta causa, è tenuto a versare al lavoratore tutte le somme che avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del contratto. Questo è un principio di tutela, ma nella pratica molti lavoratori non sanno di avere diritto a questo “risarcimento” e si vedono a casa senza nulla. Immaginiamo un lavoratore assunto con un contratto di sei mesi. Dopo tre mesi, superato il periodo di prova, il datore di lavoro decide di interrompere. In questo caso, il datore di lavoro è obbligato a pagare al lavoratore gli stipendi dei tre mesi rimanenti, a meno che non sussista una giusta causa per il licenziamento (esempi, un comportamento gravemente scorretto del lavoratore, inadempimenti degli obblighi contrattuali, minacce, aggressioni, divulgazione di segreti dell’azienda, etc). Allo stesso modo, se è il lavoratore a interrompere il rapporto senza giusta causa, dovrà risarcire il datore di lavoro per il danno economico subito.  Fine del contratto a termine: il datore di lavoro deve avvisare il lavoratore? Molti lavoratori si chiedono se il datore di lavoro sia obbligato a comunicare in anticipo che il contratto non verrà rinnovato. La risposta è no. La legge non impone alcun obbligo. In alcuni casi, il datore di lavoro lascia intendere, a parole, un possibile rinnovo per motivare il lavoratore, salvo poi negarlo all’ultimo momento. Questo comportamento è comunque legale.

Chi lavora con un contratto a tempo determinato deve adottare strategie per tutelarsi: la normativa vigente impone che il contratto a tempo determinato ordinario, comprensivo di proroghe e rinnovi, non possa superare i 24 mesi. Oltre si trasforma in indeterminato.  È importante distinguere tra proroga e rinnovo di un contratto a tempo determinato, due concetti che spesso vengono confusi. Facciamo un po’ di chiarezza: la proroga del contratto a tempo determinato si verifica quando si sposta in avanti la scadenza di un contratto in corso, ad esempio un contratto che scade a marzo 2025 può essere prorogato fino a settembre 2025. Il rinnovo invece riguarda un contratto che già è scaduto e che, si riprende in un secondo momento. Nel caso di rinnovo, bisogna rispettare il cosiddetto “stop and go”, cioè un periodo obbligatorio di pausa fra i due contratti, 10 giorni per i contratti inferiori a sei mesi, 20 giorni per quelle di durata superiore. Quante proroghe sono consentite secondo la normativa vigente? il numero massimo è di quattro nell’arco di 24 mesi, se c’è una quinta proroga e si supera il limite dei 24 mesi, il contratto si trasforma automaticamente in tempo indeterminato. Per i rinnovi invece non c’è un limite specifico ma resta sempre il vincolo della durata massima di 24 mesi.

Durante A. M. Cristina




Infortunio in moto. La parola chiave: necessitato!

Immaginiamo di iniziare una giornata di lavoro. Il lavoratore deve recarsi sul posto e decide di prendere la sua moto. Quella che sembrava una giornata normale si trasforma in un incubo: frenata improvvisa, una buca, e si ritrova a terra, ferito. E’ infortunio? Il lavoratore è coperto dall’assicurazione INAIL?  Che tipologia di infortunio è? Ci sarà il riconoscimento? Sarà indennizzato?

Le risposte non sono così semplici come potrebbe sembrare. Se sei un lavoratore dipendente, l’assicurazione INAIL potrebbe coprire infortuni di questo tipo, purché rientrino in una serie di circostanze ben definite. Innanzitutto, che tipologia di infortunio potrebbe essere.

Nel diritto del lavoro, quel tipo di infortunio è denominato in itinere. È un infortunio che accade durante il normalepercorso che un lavoratore effettua per recarsi al lavoro o per tornare a casa. Questo concetto è cruciale per comprendere se l’incidente occorso in moto potrà essere considerato come infortunio in itinere. Secondo la normativa vigente, in maniera “itinere”, l’assicurazione INAIL copre gli infortuni che avvengono:

  • durante il NORMALE percorso tra casa e lavoro;
  • durante il tragitto tra due luoghi di lavoro o più luoghi dove il lavoratore svolge le proprie mansioni (casistica ampia);
  • durante il tragitto per andare a consumare i pasti, nel caso in cui non vi è un servizio mensa aziendale.

Ma attenzione: non tutte le deviazioni, percorsi, interruzioni del tragitto sono coperti dall’assicurazione Inail.  Le interruzioni o deviazioni o cambi di percorso sono considerati “necessitati” solo in alcuni casi specifici, come per esempio: cause di forza maggiore (un malore improvviso); esigenze essenziali e improrogabili (fermarsi per una necessità fisiologica importante); l’adempimento di obblighi penalmente rilevanti (prestare soccorso in caso di incidente), etc.

Se la caduta in moto del lavoratore, avviene durante il normale percorso casa-lavoro, e non ci sono state deviazioni non necessarie, non sempre però si ha diritto alla copertura assicurativa e di conseguenza al riconoscimento dell’infortunio. La moto, pur essendo un mezzo di trasporto privato, rientra, tra quelli considerati dall’INAIL ai fini della copertura dell’infortunio in itinere, purché il suo uso sia necessitato. Ma cosa significa “necessitato”? Per esempio, l’uso del mezzo privato è considerato necessario quando: non esiste un mezzo pubblico che possa coprire lo stesso percorso o magari c’è uno sciopero in atto di quei mezzi usati abitualmente per percorrere la distanza casa- lavoro; il tragitto in moto consente un risparmio di tempo significativo rispetto ai mezzi pubblici; esistono motivi particolari e personali per scegliere la moto, come problemi di mobilità temporanei, per esempio auto in riparazione (documentabile). Ciò che rimane escluso, tuttavia, è l’infortunio causato da un uso non responsabile e non necessitato.

 Durante A. M. Cristina




La Confil al Convegno organizzato dal CIU UNIONQUADRI a Roma

Si è tenuto a Roma, presso Spazio Europa gestito dall’Ufficio del Parlamento europeo in Italia e dalla Rappresentanza in Italia della Commissione europea, un importante convegno sul ruolo del DPO.
Il Data Protection Officer è stato creato all’interno della normativa sulla gestione e protezione dei dati personali (GDPR).

Il convegno, promosso dal CIU UNIONQUADRI, ha visto la presentazione della ricerca sul ruolo del DPO realizzata dal CESMAL che rappresenta una novità di indagine nel settore. Nel corso del convegno è stata anche illustrata una proposta di legge per la valorizzazione, la tutela professionale del ruolo che punta a definire i contorni giuridici e giuslavoristici di un profilo, quello del Data Protection Officer, sempre più strategico per il sistema imprenditoriale nazionale e internazionale. La privacy è un asset aziendale fondamentale, regolamentare il DPO significa proteggere dati, imprese e cittadini.

Presente al convegno per la CONFEDERAZIONE ITALIANA LAVORATORI, il Segretario Generale Luigi Minoia.

(in foto Luigi Minoia segretario generale CONFIL, Gabriella Ancora, presidente CIU UNIONQUADRI)

Durante A.M. Crisitina




Licenziamento durante periodo di convalescenza infortunio, precisazioni tra legittimità ed illegittimità

Una recente sentenza della Cassazione chiarisce che, un dipendente in convalescenza per infortunio, non può essere licenziato SOLO per aver svolto attività personali, fuori dalla propria abitazione, durante il periodo di assenza da lavoro per infortunio, a meno che queste non compromettano concretamente la guarigione. In altre parole, se sei in infortunio e decidi di fare una passeggiata, o dedicarti ad un hobby leggero, il tuo datore di lavoro non può utilizzare ciò come pretesto per licenziarti. Il lavoratore ha diritto ad una convalescenza serena!

La Cassazione ha ribadito che il licenziamento durante l’infortunio è legittimo solo se il datore di lavoro dimostra che le attività svolte sono incompatibili con la guarigione. La semplice presunzione non basta!

Durante il periodo di infortunio, il lavoratore potrà svolgere attività che non interferiscono con il suo recupero, attività non in contrasto con le indicazioni mediche. Ecco alcuni esempi concreti: passeggiate leggere, spesa, visite a parenti, attività sociali moderate; no a lavori pesanti, sport intensi, attività che aggravano l’infortunio.
Ovviamente il principio chiave è la buona fede: se le tue azioni non dovessero compromettere la guarigione e non vanno a violare precise indicazioni mediche, il licenziamento sarebbe illegittimo.

Un aspetto spesso poco chiaro riguarda le visite fiscali. In caso di infortunio sul lavoro, non sei soggetto agli obblighi di reperibilità come accade per la malattia comune. Questo perché le visite fiscali non sono gestite dall’INPS ma dall’INAIL.

L’INAIL, infatti, è l’ente responsabile per i controlli relativi all’infortunio e può convocarti, presso le proprie sedi, per accertamenti medico-legali. Non sono previsti controlli domiciliari, come confermato dall’ INPS.  Alcuni datori di lavoro ricorrono a investigazioni private per “scovare” dipendenti che svolgono attività durante l’infortunio. Tuttavia, anche se il controllo potrebbe essere lecito (discussioni in corso) le prove raccolte non possono giustificare un licenziamento, se non vi sono precise indicazioni mediche che dimostrino l’incompatibilità delle attività svolte, durante l’assenza da lavoro da infortunio, con la guarigione. Le prove ottenute con modalità illecite non sono valide in tribunale.

La recente sentenza della Cassazione è un passo avanti nella tutela dei lavoratori. Se sei in convalescenza per infortunio, hai il diritto di recuperare senza vivere nella costante paura di perdere il lavoro.

Durante A. M. Cristina




L’espansione dell’economia digitale, gestione Previdenziale: a quale fondo iscriversi?

Endorsement e Pubblicità, le distinzioni.

Con l’espansione dell’economia digitale, figure come content creator, influencer, youtuber, tiktoker e streamer sono diventate professioni a tutti gli effetti. Tuttavia, fino a poco tempo fa, il vuoto normativo lasciava questi lavoratori senza una chiara indicazione su come gestire la propria posizione a livello di versamento di contributi.  Con l’introduzione del nuovo codice ATECO 73.11.03 dal 1° gennaio 2025 e la circolare INPS n. 44 del 19 febbraio 2025, la situazione sta cambiando, ma la complessità rimane.

In questo articolo, si cercherà di inquadrare l’attività, dove versare i contributi al fine di evitare errori e omissioni.

Dal 2025, chi svolge attività di influencer marketing può essere inquadrato sotto il codice ATECO 73.11.03. Questo codice include coloro che, attraverso la creazione di contenuti digitali, orientano le scelte del pubblico e promuovono prodotti o servizi. Rientrano in questa categoria youtuber, podcaster, blogger, vlogger, instagrammer, streamer e altri professionisti della comunicazione digitale.

L’inquadramento fiscale non è sufficiente. È essenziale capire come gestire anche l’aspetto previdenziale. L’INPS, nella sua recente circolare, ha stabilito che l’iscrizione previdenziale dipende dalle modalità con cui viene svolta l’attività. Vediamo le tre principali casistiche:

1) Attività d’impresa, Autonomi: gestione Commercianti. Se il content creator svolge attività organizzata in modo imprenditoriale, come la vendita di video, banner pubblicitari e campagne strutturate, è obbligato a iscriversi alla Gestione Commercianti. Questo accade quando l’elemento organizzativo supera quello personale, trasformando la creatività in un’attività commerciale vera e propria.
2) Gestione Separata. L’iscrizione alla Gestione Separata è obbligatoria quando l’attività è svolta prevalentemente in modo personale e intellettuale, senza una struttura imprenditoriale. Questo vale anche per chi crea contenuti, fornisce servizi. E’ importante sapere che anche una prestazione occasionale, se supera i 5.000 euro annui, richiede l’iscrizione alla Gestione Separata.
3) Lavoratori dello Spettacolo – Fondo Pensione Lavoratori Spettacolo (FPLS). Se il lavoro di content creation rientra nell’ambito prettamente artistico o culturale, scatta l’obbligo di iscrizione al Fondo Pensioni Lavoratori dello Spettacolo. L’ENPALS è confluito nell’INPS tra le forme previdenziali sostitutive dell’AGO con il nome di FPLS.

Endorsement e Pubblicità, le opportune distinzioni. L’INPS distingue tra attività creative e semplici endorsement (sponsorizzazioni). Se il content creator si limita a pubblicizzare un prodotto attraverso la propria notorietà, come l’uso di un cosmetico in un video o una foto con un brand, i contributi vanno versati alla Gestione Separata. Al contrario, se il contenuto assume una forma di spettacolo, come una recensione video articolata o una performance artistica, l’obbligo contributivo si sposta sul Fondo dello Spettacolo; se c’è anche la vendita o la creazione di un proprio brand, allora è commerciale, attività di impresa, autonomi.

Ci sarebbero anche i liberi professionisti che esercitano in proprio una libera professione intellettuale. Generalmente hanno un albo o sono iscritti a registri o elenchi riconosciuti e pagano presso la propria cassa di riferimento o molto spesso in gestione separata, se creano video nella propria materia di studio, specializzazione etc. Alla luce di quanto scritto, in realtà le casistiche sono più articolate. Al fine di evitare contestazioni e sanzioni, è fondamentale che il content creator: formalizzi sempre il rapporto con i brand o le agenzie in quanto un contratto scritto, una committenza precisa, chiariscono la natura della prestazione o delle prestazioni e la previdenza; verifichi la corretta iscrizione all’INPS, per esempio, chi svolge attività mista potrebbe dover versare contributi in più gestioni, e  le dichiarazioni fiscali e previdenziali per evitare errori o omissioni e sanzioni.

Durante A.M. Cristina




Dimissioni giusta causa del lavoratore, preavviso sì o no?

Le dimissioni per giusta causa rappresentano una delle fattispecie più delicate del diritto del lavoro italiano. Questo istituto, previsto dall’articolo 2119 del Codice Civile, permette al lavoratore di interrompere il rapporto di lavoro a causa di un comportamento gravemente inadempiente del datore di lavoro.

La giusta causa di dimissioni si verifica quando vi è un grave inadempimento del datore di lavoro tale da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto di lavoro. A differenza delle dimissioni ordinarie, che richiedono un periodo di preavviso, le dimissioni per giusta causa permettono al lavoratore di lasciare immediatamente il posto di lavoro, mantenendo comunque il diritto a determinate indennità, come l’indennità di preavviso e il trattamento di fine rapporto (TFR).

Qual è la differenza tra dimissioni ordinarie e dimissioni per giusta causa?

Le dimissioni ordinarie sono una scelta unilaterale del lavoratore, che decide di interrompere il rapporto di lavoro per motivi personali o professionali, mentre le dimissioni del lavoratore per giusta causa derivano da una situazione di grave colpa del datore di lavoro. Nelle dimissioni ordinarie, il lavoratore è tenuto a rispettare un preavviso, mentre nelle dimissioni per giusta causa il lavoratore è esonerato da tale obbligo.

Le basi giuridiche delle dimissioni per giusta causa trovano fondamento nell’articolo 2119 del Codice Civile, il quale prevede che, in presenza di una giusta causa, entrambe le parti possono recedere dal contratto di lavoro senza preavviso. In questi casi, il lavoratore ha diritto al TFR, e in alcuni casi, all’indennità di disoccupazione (Naspi), purché rispetti le formalità previste dalla legge.

Non esiste un elenco tassativo delle situazioni che giustificano le dimissioni per giusta causa, ma la giurisprudenza ha individuato alcune fattispecie ricorrenti. Vediamo alcune delle più comuni:

  1. Mancato pagamento dello stipendio: il mancato pagamento o, meglio il ritardo reiterato nel pagamento della retribuzione, costituisce una delle cause più frequenti per cui un lavoratore può dimettersi per giusta causa. Il pagamento regolare della retribuzione è un obbligo essenziale del datore di lavoro. Quando questo obbligo viene violato, il lavoratore ha il diritto di risolvere immediatamente il rapporto di lavoro. Ovviamente ci sono casi e casi. Uno degli aspetti più controversi in tema di dimissioni per giusta causa è proprio il numero di mensilità non pagate. La legge non fornisce un numero esatto di stipendi non versati. Nonostante ciò, l’Inps adotta una posizione restrittiva quando si tratta di riconoscere la giusta causa richiedendo che il datore di lavoro non abbia pagato almeno tre mensilità. Questo requisito non è supportato dalla giurisprudenza in materia normativa lavoristica nello specifico, e nonostante le contestazioni dei sindacati e degli avvocati lavoristi, si porta avanti un ulteriore danneggiamento del lavoratore per far valere i propri diritti.
  1. Mobbing: il mobbing si verifica quando il lavoratore è sottoposto a una serie di comportamenti vessatori e persecutori sul luogo di lavoro, tali da ledere la sua dignità personale e professionale. In presenza di mobbing, il lavoratore può dimettersi per giusta causa e ottenere il risarcimento dei danni subiti. Sempre con l’onere della prova alla mano. Non basta una discussione futile!
  1. Modifiche sostanziali delle mansioni: un altro esempio di giusta causa è rappresentato dalle modifiche unilaterali da parte del datore di lavoro delle mansioni assegnate al lavoratore, specialmente quando queste sono dequalificanti. La legge stabilisce che il lavoratore non può essere assegnato a mansioni inferiori rispetto a quelle concordate, salvo in casi particolari.
  1. Violazione delle norme di sicurezza sul lavoro: la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale del lavoratore. Se il datore di lavoro non garantisce un ambiente di lavoro sicuro, mettendo a rischio la salute e la vita del lavoratore, questo può costituire una giusta causa di dimissioni.
  1. Comportamenti offensivi o discriminatori: anche comportamenti discriminatori, offensivi o violenti da parte del datore di lavoro o dei colleghi superiori possono costituire una giusta causa per le dimissioni. Ad esempio, molestie sessuali o episodi di razzismo possono giustificare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro.

Perché le dimissioni per giusta causa siano valide, il lavoratore deve seguire una specifica procedura. Ecco i passaggi principali da rispettare.

  1. Comunicazione telematica delle dimissioni. Dal 12 marzo 2016, le dimissioni devono essere presentate attraverso una procedura telematica. Il lavoratore deve compilare un modulo online tramite il portale Cliclavoro, oppure rivolgersi a un patronato o a un consulente del lavoro che possa inviare la comunicazione per suo conto. La procedura telematica è obbligatoria e serve a tutelare il lavoratore da eventuali dimissioni “in bianco”.
  1. Lettera di dimissioni per giusta causa. Anche se la procedura telematica è obbligatoria, è buona prassi inviare al datore di lavoro una lettera di dimissioni per giusta causa, in cui si espongono le motivazioni dettagliate che hanno portato alla risoluzione del contratto. Nella lettera, il lavoratore deve spiegare chiaramente i motivi delle dimissioni e richiedere le eventuali spettanze (TFR, indennità di preavviso).
  1. Accertamento della giusta causa. Nel caso in cui il datore di lavoro contesti la giusta causa delle dimissioni, potrebbe essere necessario un accertamento giudiziale. In questo caso, sarà il giudice del lavoro a stabilire se il comportamento del datore di lavoro è stato tale da giustificare le dimissioni senza preavviso. Durante il giudizio, il lavoratore dovrà fornire prove concrete dell’inadempimento del datore di lavoro.

Il lavoratore che si dimette per giusta causa ha diritto a:

  • TFR (Trattamento di Fine Rapporto): l’azienda è tenuta a corrispondere il TFR anche in caso di dimissioni per giusta causa.
  • Indennità di preavviso: nonostante l’assenza del preavviso, il lavoratore ha diritto a ricevere l’indennità di preavviso.
  • NASpI: in determinate circostanze, il lavoratore può accedere all’indennità di disoccupazione NASpI, purché la giusta causa venga riconosciuta (l’onere della prova e/o senza contestazione da parte del datore di lavoro o in sede giudiziale o attraverso conciliazione).

Cristina A.M. Durante




Disoccupazione agricola: cambiamo una legge ingiusta

Parificare l’indennità dei lavoratori agricoli a quella degli altri settori

Veri eroi silenziosi della terra. I lavoratori agricoli sono l’asse portante del made in Italy agroalimentare che mantiene il primato mondiale con 583 prodotti Dop e 266 Igp con una produzione di 20,2 miliardi di euro. Eppure ancora oggi una legge ingiusta prevede per i lavoratori agricoli un’indennità di disoccupazione nella misura del 40% della retribuzione, mentre per i lavoratori di altri settori è pari al 75%. Punta a rendere dignitosa e più equa l’indennità di disoccupazione agricola la proposta della Confederazione Italiana Lavoratori illustrata nel corso di un incontro svoltosi alla Camera dei Deputati.

“Questi lavoratori, spesso sottovalutati, sono uomini e donne che ogni giorno fanno un lavoro duro e logorante, con sacrificio, in condizioni difficili e in alcuni casi anche senza diritti”, ha dichiarato il segretario generale Confil Luigi Minoia. “Interpretando il loro disagio, Confil – ha proseguito Minoia – ha chiesto al Parlamento e al Governo la modifica della normativa vigente per fissare l’importo della disoccupazione agricola nella misura del 75% della retribuzione in modo da permettere a centinaia di migliaia di famiglie di vivere con relativa serenità i periodi di disoccupazione involontaria”.

Nel dettaglio la modifica dell’articolo 55 della legge 247 del 2007 è stata al centro dell’intervento di Antonio Barile, esperto welfare, che ha anche fornito una serie di dati: “su un milione di lavoratori agricoli i percettori dell’indennità di disoccupazione sono 593.963 e gli importi medi dell’attuale indennità disoccupazione con la proposta Confil raddoppierebbero”.

All’incontro ha partecipato l’on. Chiara Tenerini, di Forza Italia, prima firmataria, insieme all’on. Marco Lacarra del Pd, di uno degli emendamenti che modifica il trattamento di disoccupazione in favore dei lavoratori agricoli fissandolo al 75% della retribuzione dal primo gennaio di quest’anno. “Siamo di fronte ad una forma di ingiustizia sociale nei confronti di un comparto strategico per il paese – ha affermato l’on. Chiara Tenerini – e intendiamo introdurre, magari con una proposta di legge, quanto meno dei correttivi migliorativi per rendere più dignitosa l’indennità di disoccupazione di questi lavoratori, tenuto conto che l’equiparazione al 75% ha un costo di 120 milioni l’anno”.




La malattia durante il preavviso, cosa accade? Il ruolo dei contratti collettivi

Il preavviso è il periodo di tempo che intercorre tra la comunicazione di dimissioni o licenziamento e l’effettiva cessazione del rapporto di lavoro. Questo arco temporale ha una funzione precisa: deve consentire sia al datore di lavoro che al lavoratore di organizzarsi e riorganizzarsi. Per l’azienda, il preavviso è utile al fine di individuare un sostituto e garantire la continuità operativa. Per il lavoratore, invece, rappresenta un periodo in cui si pianificano al meglio i passi successivi, come la ricerca di una nuova occupazione.

Il preavviso è disciplinato dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) e varia in base a fattori come il tipo di contratto, il livello contrattuale, l’anzianità lavorativa aziendale, etc. Generalmente, più lunga è l’anzianità, più ampio sarà il periodo di preavviso.

La malattia può complicare questa dinamica, generando domande e dubbi sulle sue conseguenze e su come il lavoratore possa tutelarsi. Cosa accade se il lavoratore si ammala durante il periodo di preavviso?

Un impiegato con cinque anni di anzianità in azienda decide di rassegnare le dimissioni. Il contratto collettivo prevede un periodo di preavviso di un mese. Dopo due settimane, però, l’impiegato si ammala e il medico certifica una prognosi di dieci giorni. Durante questo periodo, il conteggio del preavviso si interrompe. Una volta terminata la malattia e rientrato in salute, l’impiegato dovrà completare i restanti quindici giorni di preavviso, riprendendo da dove si era fermato.

Un operaio licenziato dall’azienda riceve una comunicazione con un preavviso di tre settimane, come previsto dal suo CCNL. Tuttavia, dopo una settimana, sopravviene una malattia certificata di quattordici giorni. In questo caso, il preavviso rimane sospeso per tutta la durata della malattia. Al termine della prognosi, l’operaio dovrà completare le due settimane di preavviso restanti.  Il rapporto di lavoro non può cessare durante una sospensione giustificata!

I giorni di malattia non si sovrappongono semplicemente al preavviso, ma ne sospendono il decorso. Questo significa che il conteggio dei giorni di preavviso si interrompe per tutta la durata della malattia certificata e riprende solamente una volta che il lavoratore è guarito.

È importante sottolineare che le modalità con cui il preavviso viene sospeso dalla malattia possono variare leggermente in base al contratto collettivo applicato. Alcuni CCNL prevedono disposizioni specifiche o tempistiche diverse, ma il principio rimane invariato: la malattia certificata interrompe il conteggio del preavviso sia che si tratti di dimissioni che di licenziamento.

Questo sistema di tutele è fondamentale per salvaguardare il lavoratore in un momento delicato come quello della cessazione del rapporto di lavoro. Il preavviso non è semplicemente un “periodo di tempo” tra un rapporto lavorativo e il successivo, ma un meccanismo che permette a entrambe le parti (datore di lavoro-lavoratore) di organizzarsi.

Conoscere le “regole” è fondamentale. Ogni caso può avere le sue particolarità, ma il principio resta lo stesso: la malattia non cancella il preavviso, lo mette semplicemente in pausa.

Durante A.M. Cristina